L’autolesionismo non suicidario adolescenziale

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Cicatrici sulla pelle e ferite nell’anima

Castrucci L. 1

1. Medico specialista in psicologia clinica responsabile struttura estensiva per deficit cognitivi e disturbi comportamentali Villa Albani Anzio Asl RM H (lucillacastrucci@gmail.com)

Riassunto

Secondo i dati dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza, l’autolesionismo è una pratica sempre più diffusa tra i giovanissimi. Attualmente, si sta assistendo ad una crescita progressiva di contenuti online sull’autolesionismo non suicidario attraverso siti internet, blog e chat.  Questo articolo si propone, tramite l’analisi dei contributi presenti in letteratura, di approfondire le attuali conoscenze sull’autolesionismo non suicidario e di indagare le associazioni esistenti tra il concetto di pelle, identificazione personale, crisi adolescenziale ed autolesionismo non suicidario, facendo riferimento alle teorie psicodinamiche e neurobiologiche e gli aspetti socio antropologici. Infine, si esaminerà il contributo che la ricerca in ambito psicosociale e neuroscientifico può offrire per prevenire e trattare i comportamenti autolesionistici. Allo stato attuale, le condotte autolesionistiche adolescenziali possono essere considerate come strategie disfunzionali di coping messe in atto quando esiste una disregolazione emotiva. In particolare, il self-cutting, come comportamento ad elevato rischio di reiterazione, è ad oggi ritenuto un fattore predittivo di rischio suicidario più affidabile rispetto ad altre pratiche autolesionistiche non suicidarie.

Parole chiave: autolesionismo, adolescenza, pelle, self-cutting.

 Abstract

According to data from the National Adolescence Observatory, self-harm is an increasingly widespread practice among very young people. We are currently witnessing a progressive growth of online content on self-harm through websites, blogs, and chats. This article aims, through a review of the contributions present in the literature, to analyze the current knowledge on non-suicidal self-harm and to investigate the existing associations between the concept of skin, personal identification, adolescent crisis, and self-harm by referring to psychodynamic, neurobiological theories, and socio-anthropological aspects. Finally, it will explore the contribution that psychosocial and neuroscientific research can offer to prevent and treat self-harming behaviors. At the present, adolescent self-harm behaviors can be considered as dysfunctional coping strategies implemented when there is emotional dysregulation. In particular, self-cutting, a behavior with a high risk of recurrence, is now considered a more reliable predictor of suicidal risk than other self-harming practices.Keywords: self-harm, adolescence, skin, self-cutting

Introduzione

Attualmente l’autolesionismo nei paesi industrializzati è un fenomeno talmente diffuso da rappresentare un’emergenza sociale e sanitaria. I dati epidemiologici indicano che l’autolesionismo non suicidario prevale tra i giovani con un’età di esordio tra i 12 ed i 14 anni (Mercado et al.2017), è raro che si manifesti nei bambini. In base ad una revisione di 71 studi pubblicata nel 2018 su Lancet Psychiatry le condotte autolesive sono presenti nel 5% degli adulti, nel 17% degli adolescenti e nel 30% degli adolescenti e degli adulti con disturbi psichiatrici. (Liu et al. 2018).

Recentemente si sta assistendo ad una crescita progressiva di contenuti online sull’autolesionismo non suicidario attraverso siti internet, blog e chat. I giovani espongono il loro corpo segnato dalle cicatrici auto procurate nascondendosi dietro un profilo, cercando così di trovare un sostegno al loro malessere attraverso relazioni virtuali (Manca 2017).

L’eziologia dell’autolesionismo non suicidario è multifattoriale: è il risultato della combinazione di fattori psicosociali, biologici, psichiatrici ed ambientali. Nell’anamnesi degli adolescenti che presentano condotte autolesive non è infrequente la presenza di problematiche relazionali familiari (Hawton et al., 2012), l’essere stati oggetto di abuso fisico, psicologico e sessuale o l’aver subito atti di bullismo o cyberbullismo (Hinduja & Patchin, 2010). I disturbi psichiatrici che si presentano in comorbidità con l’autolesionismo sono: la sindrome ansioso-depressiva, l’ADHD, i disturbi alimentari (Hawton et al., 2013), inoltre l’autolesionismo compare nel disturbo borderline di personalità (DSM -5- ter 2023). Le condotte autolesive non suicidarie ed in particolare il self-cutting, sono comportamenti ad elevato rischio di reiterazione, e sono fattori predittivi di rischio suicidario.

L’adolescenza, periodo di vita in cui le condotte autolesionistiche sono prevalenti, è una fase delicata dello sviluppo durante la quale possono comparire comportamenti di coping disfunzionali, in particolare quando è presente una disregolazione emotiva, con un impatto negativo sulla salute, per questo è importante identificare precocemente i comportamenti autolesionistici non suicidari e mettere in atto tutte le possibili strategie preventive e tutti gli interventi terapeutici adatti al trattamento del caso.

Metodo

Si è effettuata una disamina dei contributi presenti in letteratura che hanno come oggetto la trattazione dell’autolesionismo non
suicidario. La ricerca degli articoli scientifici e dei testi è avvenuta utilizzando le maggiori banche presenti in ambito medico ed
infermieristico, in particolare: pubmed, cinhal ed il datebase medline. Si è focalizzata l’attenzione sui lavori che oltre a considerare le condotte autolesive indagano le problematiche adolescenziali, l’identificazione personale ed il concetto di pelle. I lavori selezionati sono in numero superiore a quelli citati nel testo ed in bibliografia, si è scelto di riportare le fonti bibliografiche ritenute maggiormente significative ed esplicative rispetto agli argomenti trattati e di evitare duplicazioni.

Autolesionismo definizione

Secondo la definizione dell’International Society for the Study of Self Injury (Hooley, Franklin 2018), l’autolesionismo è: un “danno deliberato e autoinflitto al proprio corpo senza intento suicidario e per scopi non socialmente accettati”. Il DSM-5-TR (2023) definisce l’autolesionismo non suicidario come “una serie di atti intenzionalmente autolesivi nei confronti del proprio corpo condotti per almeno 5 giorni nell’ultimo anno”.

Il non-suicidal self-injury (NSSI) è, secondo l’ultima edizione del DSM, un disturbo con una propria categoria diagnostica e non è considerato, come lo era in passato, una semplice manifestazione di disagio associata ad altri disturbi psichiatrici. Tutti i comportamenti, non socialmente accettati, che non hanno un intento suicidario e generano un danno corporeo superficiale vengono indicati con il termine self-injury (SI). Questi comportamenti consistono nell’autoinfliggersi tagli prevalentemente sugli arti o sull’ addome (self cutting), o nel causarsi danni della pelle, morsi, incisioni o bruciature (self-hitting, self-burning).

Il self-cutting prevale nel sesso femminile, mentre gli adolescenti maschi utilizzano più frequentemente il self-burning (Cleas, Vandereycken, Vertommen 2007).

In generale il termine autolesionismo è stato utilizzato per indicare una serie di atti autolesivi differenti tra di loro, per questo motivo alcuni degli studi presenti in letteratura riportano dati difficilmente comparabili. Attualmente si distingue il self-injury (SI) dal self–mutilation, termine che viene riservato a forme di autolesionismo grave, che compare generalmente nelle psicosi, che comporta amputazioni di parti corporee (Favazza 1996).

Il termine self-harm (Hawto & Catalan 1987) è utilizato per indicare sia comportamenti di self-injury che di self–mutilation, oltre a designare altre condotte autolesionistiche come l’abuso, per ingestione o inalazione di sostanze e di farmaci, la messa in atto di comportamenti spericolati o l’avere rapporti sessuali promiscui. Alcuni comportamenti, che vengono indicati con il termine self-harm, possono essere considerati tentativi di suicidio (Muehlenkamp et al., 2012; Sarno, 2008).

L’adolescenza è un periodo della vita critico sia per l’autolesionismo che per la suicidalità. Il suicidio è piuttosto infrequente al di sotto dei 15 anni, tuttavia la sua comparsa aumenta di frequenza tra la fine dell’adolescenza e l’inizio dell’età adulta. Alcuni comportamenti autolesivi non suicidari, come il self cutting, vengono reiterati e rappresentano un indicatore di rischio suicidario (Kothgassner et al. 2021).

Adolescenza

L’adolescenza è la fase della vita durante la quale avviene il passaggio dall’infanzia all’età adulta. È una fase critica nel corso della quale si realizzano numerosi mutamenti che possono generare disorientamento.  In questo periodo, le rappresentazioni e gli schemi che, fino a quel momento, hanno consentito al bambino di relazionarsi con il proprio corpo, con gli altri e con il mondo vengono messi in discussione e vengono meno alcune certezze che sembravano essere consolidate (Palmonari 2011).

Tutti i soggetti in adolescenza debbono compiere alcuni difficili percorsi evolutivi (Havighurst, 1948), tra questi l’acquisizione dell’identità personale e di genere, integrando le peculiarità della cultura di appartenenza con le aspettative sociali (Blasi, 1995). Questo processo avviene anche grazie allo spostamento della centralità della relazione con i genitori a vantaggio delle relazioni con il gruppo dei pari (Palmonari, 2011). La dimensione sociale favorisce lo sviluppo dell’identità dell’adolescente, facilita lo sviluppo dell’autostima e consolida il senso di autoefficacia (Fermani 2011). Tra i vari compiti evolutivi di questa fase di vita, riveste un importante ruolo la conquista di una efficace capacità di regolazione emotiva.

La regolazione emotiva è definita da Thompson (1994) come la capacità di generare, monitorare, valutare e modificare le reazioni emotive per poter raggiungere un obiettivo. Una regolazione emotiva funzionale necessita della capacità di riconoscere il significato emotivo degli stimoli percepiti e di saper attivare e scegliere un adeguato processo regolativo. (Sheppes et al., 2015).

Una buona regolazione emotiva è fondamentale affinchè le capacità attentive e socio relazionali possano essere utilizzate al meglio. La regolazione emotiva si fonda su strategie auto regolatorie e di regolazione reciproca.

La possibilità di raggiungere un equilibrio è sostenuta, nel percorso di crescita dell’individuo, anche dallo sviluppo di connessioni neuronali (Kilford, et al., 2016) che sono coinvolte nella costituzione del social brain, fondamentale per la percezione e cognizione sociale (Adolphs, 2009). Come documentato da una revisione della letteratura del 2007 (Yurgelun, Todd 2007), nel percorso di crescita, si verifica un aumento dell’efficienza delle capacità di controllo cognitivo e di regolazione emotiva grazie ai processi evolutivi della corteccia prefrontale. Tale area cerebrale è l’ultima area cerebrale a raggiungere il completo sviluppo alla soglia dell’età adulta (Poletti 2007).

I dati empirici indicano come, durante l’adolescenza, siano presenti con maggiore frequenza, rispetto ad altri periodi di vita, comportamenti a rischio che possono influenzare negativamente il benessere dell’individuo e compromettere l’elaborazione di adeguate strategie di adattamento (Hurrelmann & Richter 2006). Tali considerazioni hanno determinato la creazione di un modello neurobiologico secondo il quale lo sviluppo adolescenziale si caratterizza per la presenza di un’aumentata impulsività che comporta la messa in atto di comportamenti a rischio (Casey, et al. 2008). Questo modello si fonda sul presupposto che l’impulsività è legata all’immaturità della corteccia prefrontale e, in un processo normale, diminuisce dall’infanzia all’età adulta. Nello stesso modello, la messa in atto di comportamenti a rischio è correlata all’attività del sistema limbico (Matthews, et al., 2004) ed all’attività del nucleo accumbens che è maggiore negli adolescenti rispetto ai bambini ed agli adulti (Galvan, et al. 2006).

Per comprendere gli aspetti dinamici del mondo interiore degli adolescenti è necessario integrare i modelli neurobiologici con la prospettiva psicodinamica (Castrucci  2023).

Un aspetto centrale dell’adolescenza è la maturazione fisica con la riattivazione della pulsione sessuale e della pulsione aggressiva. Durante la pubertà si assiste ad una riedizione del conflitto edipico poiché, l’accettazione inconscia, da parte dell’adolescente di essere sessuato lo conduce nuovamente, ad essere rivale del genitore dello stesso sesso, generando una trasformazione della personalità e accendendo sensi di colpa nei confronti dei genitori (Novelletto  1986). Come ben chiarito da Peri  (1998), si assiste alla rottura con gli antichi oggetti d’amore. La fiducia riposta nelle relazioni con i familiari viene ora posta nei rapporti extrafamiliari, che durante l’infanzia generavano sentimenti di estraneità ed insicurezza. Questo processo porta da un lato ad abbandonare le infantili identificazioni genitoriali, cosa che genera crisi nell’adolescente, d’altro canto le nuove identificazioni extrafamiliari favoriscono il miglioramento dell’autostima e dell’io ideale (Palmonari 2011). In questa fase, come magistralmente esposto da Anna Freud (1958), la sublimazione dell’istintualità, è un meccanismo utile per affrontare il turbinio pulsionale ed emozionale, e conduce l’adolescente a sviluppare l’adattamento sociale e ad arricchire la propria personalità. Raggiungere l’equilibrio necessario per avere un buon adattamento non è un compito facile, l’adolescente si trova a vivere ed a dover gestire emozioni nuove e deve utilizzare i meccanismi di difesa per contenere e canalizzare l’istinto senza sopprimerlo (Freud A. 1958).

Un’altra sfida che l’adolescente è chiamato a sostenere, nel processo di crescita e di costruzione della propria identità è l’elaborazione del lutto. Il distacco dalle figure genitoriali e la consapevolezza di non essere più bambini crea un vuoto inteso, come un sentimento legato alla perdita, che necessita di un’elaborazione paragonabile a quella del lutto (Freud A. 1967). La mancanza riguarda anche le caratteristiche di onnipotenza ed egocentrismo tipiche dell’età infantile che gradualmente lasciano il posto alla realtà ed alla dimensione del limite (Palmonari 2011). Emanciparsi e costruire la propria identità personale transita attraverso una serie di ambivalenze, nuove emozioni e sensazioni di ansia. Si tratta di un processo che richiede la costruzione delle linee di confine che separano dagli altri e di un’area privata che abbia il compito di essere custodia del sé. Secondo Novelletto (1986) uno dei segnali che tale evoluzione è in corso è dato dal bisogno di segretezza manifestato dall’adolescente.

La giusta sublimazione dell’istintualità ed il corretto funzionamento dei meccanismi di difesa permettono all’individuo di superare la crisi adolescenziale, di costruire la propria identità, la propria personalità e di raggiungere una capacità di regolazione emozionale funzionale. Non è possibile non tener conto del ruolo che gli aspetti sociali hanno nella crisi adolescenziale, come sottolineato, già da tempo, dall’aforisma di Anna Freud: “l’adolescenza è la cartina di tornasole della società “.

Pelle: tessuto di confine e di comunicazione

La pelle è un tessuto continuo ed è il rivestimento più esterno del corpo, che svolge numerose funzioni: protegge dai traumi, impedisce la perdita di liquidi, partecipa alla termoregolazione, ha proprietà metaboliche ed un’importantissima funzione sensoriale. La cute non si può considerare semplicemente in senso biologico. Infatti, già Freud nel 1922 riconosce alla pelle un ruolo nello sviluppo e nel funzionamento psichico, precisando che “l’Io è anzitutto un’entità corporea, non è soltanto un’entità superficiale, ma anche la proiezione di una superficie” (L’Io e l’Es p. 488). Secondo la teoria psicanalitica freudiana, “l’Io è in definitiva derivato da sensazioni corporee, soprattutto dalle sensazioni provenienti dalla superficie del corpo. Esso può dunque venir considerato come una proiezione psichica della superficie del corpo” (p. 488-489 nota). La cute può essere considerata come un organo che delimita l’individuo dagli altri e dal mondo. Tale concetto è ben documentato in letteratura ed in filmografia (Senza pelle 1994).

Donald Winnicott (1958) definisce la pelle come un confine che delimita il me dal non me.

Lo psicologo francese Didier Anzieu, autore del libro Io-pelle (1985), vede la cute come un elemento fondamentale per il completamento dell’apparato psichico e delle sue funzioni. La pelle è contemporaneamente l’involucro del corpo ed il rivestimento dell’apparato psichico. L’Io-pelle può essere descritto come una membrana, che se funziona bene garantisce il senso di sicurezza ma al contrario può divenire un involucro di sofferenza.  La pelle è non solo un limite ma anche uno spazio comunicativo che assume una valenza particolare durante la fase adolescenziale, che è caratterizzata dalla metamorfosi del corpo (Nicolò 2009). Uno dei compiti adolescenziali è quello di riuscire a riappropriarsi del proprio corpo, così differente da quello infantile. L’adolescente dovrà riuscire ad integrare il corpo mutato nella rappresentazione di sé e, nonostante il cambiamento, riuscire a mantenere la propria identità (Lemma 2010).

Si ritrovano nelle culture, di tutti paesi del mondo, riti di passaggio che sanciscono la fine dell’adolescenza e l’ingresso nel mondo degli adulti. La letteratura etnologica ed etnografica riporta come, molti dei riti di passaggio dall’adolescenza al mondo degli adulti, siano caratterizzati dall’imprimere cicatrici sulla pelle ed anche dall’infliggere lacerazioni e varie forme di circoncisione (Parisi 2006). In tutto questo, il dolore può essere considerato un’esperienza necessaria per superare la soglia della pubertà o per cambiare status (Le Breton 2016). La necessità di un rituale condiviso è legata al fatto che l’adolescenza è una fase decisiva per la costruzione dell’identità, come sottolineato da Aime “è quanto mai necessario che la comunità da un lato stabilisca in modo chiaro il confine tra il mondo dei giovani e quello degli adulti, e che dall’altra protegga il passaggio, collocando segnali, punti di riferimento ben visibili.” (Aime 2008). È sempre Aime a sottolineare come un’altra pratica presente in varie culture ed utilizzata a scopi comunicativi della propria identità, intesa anche come appartenenza ad un gruppo, è la pittura corporea ed il tatuaggio. Tale pratica, come anche quella del piercing, ha origini antiche, ed a partire dagli anni Settanta è stata riscoperta nel mondo occidentale. Da allora e negli anni successivi si è diffusa ed ha avuto particolare presa sui giovani adolescenti (Bosello et al. 2010). La body art comporta la modificazione dell’immagine corporea. Attraverso il tatuaggio, il piercing o la cicatrice, l’adolescente si racconta, esprimendo sia l’appartenenza ad un gruppo sia la propria individualità, cerca di costruire un’immagine positiva di sé, creando un legame visibile tra corpo tatuato ed identità, può mettere in atto un gesto trasgressivo segno tangibile della ribellione alle figure genitoriali (Aime 2011).

Gli agiti sul proprio fisico, in adolescenza, sono il segno della necessità che l’individuo ha di riappropriarsi del corpo rendendolo diverso da quello che per natura gli è stato dato, la trasformazione della pelle può leggersi come un sostegno identitario. Tuttavia, può configurarsi la condizione, patologica, in cui il corpo è sentito dall’adolescente come estraneo tanto da poter essere attaccato. L’autolesionismo, in quest’ottica, può essere considerato come una protesi identitaria necessaria all’adolescente quando fallisce nel compito di ricostruire la propria identità (Ladame 2004).

Eziologia delle condotte autolesionistiche non suicidarie adolescenziali ed influenza dei social media

I contributi presenti in letteratura evidenziano l’esistenza di fattori di rischio specifici per lo sviluppo di condotte autolesive non suicidarie: l’età adolescenziale, il sesso femminile, un quoziente intellettivo superiore alla media, il bullismo subito in infanzia o nella prima adolescenza, l’aver subito abusi o abbandoni, la presenza di problematiche relazionali familiari, l’orientamento sessuale, il contesto sociale e l’influenza dei social media (Brown &Plenner 2017.  Hawton et al. 2012).

Gli studi di neuroimaging documentano, nei soggetti con autolesionismo, una diminuzione del volume della corteccia cingolata anteriore e una minore connettività di quest’area con l’amigdala. È stata evidenziata anche una riduzione della materia grigia dell’insula negli autolesionisti, rispetto al gruppo di controllo costituito da soggetti sani (Auerbach et al., 2021). Altri studi hanno evidenziato la presenza di alterazioni nel funzionamento dell’asse ipotalamo-ipofisario che comportano una maggiore difficoltà nella regolazione emotiva (Carosella et al., 2023). Groshwitz e Plener (2012) documentano una maggiore vulnerabilità allo stress negli individui che praticano autolesionismo.

I meccanismi neurochimici coinvolti nell’autolesionismo non suicidario non sono del tutto noti. Sono stati riscontrati, nel sangue dei soggetti autolesionisti, alti livelli di oppiacei endogeni. Tale dato ha portato ad ipotizzare che i comportamenti autolesionistici possano essere sostenuti da un’alterazione del sistema degli oppioidi endogeni (Symons, Thompson 2000).

Numerosi sono i contributi di studi psicodinamici sull’origine dell’autolesionismo non suicidario. Le tesi avanzate da Suyemoto sostengono l’ipotesi che l’autolesionismo non suicidario sia un agito per edificare quei confini tra sé ed altro diversi da sé per qualche motivo non sviluppati (Suyemoto 1998). Quest’autore interpreta l’autolesionismo in funzione di quattro costrutti teorici: la pulsione, la regolazione affettiva, le relazioni interpersonali e l’ambiente.

Nel 2005 la psicanalista Lemma A. descrive come gli atti autolesionistici siano collegati, in adolescenza, alle modificazioni corporee e rappresentino una modalità per gestire alcuni aspetti inconsci. L’adolescente autolesionista attacca l’oggetto (il corpo) che gli crea una dipendenza intollerabile e rifiuta di elaborare il lutto per il corpo perduto. Con l’autolesionismo viene messa in atto la fantasia inconscia di mandare via l’altro diverso da sé, che si sente risiedere nel proprio corpo.

L’autolesionismo non suicidario è stato definito da diversi autori come strategia di coping associata ad una scarsa capacità di regolazione emotiva (Sim et al., 2009; Brereton & McGlinchey, 2019). Si tratta di una strategia di coping disfunzionale, che porta i soggetti incapaci di regolazione emotiva efficace a creare una modalità regolativa maladattativa.

Negli ultimi anni è cresciuto l’interesse su un novo aspetto presentato dall’autolesionismo non suicidario adolescenziale, che riguarda i contenuti pubblicati sul web. Secondo uno studio condotto nel 2017  (Patchin, Sameer, Hinduja  2017)  il 6% circa degli adolescenti ha comportamenti autolesionistici online. Maura Manca nel 2017 ha pubblicato il libro “l’autolesionismo nell’era digitale” dove evidenzia come il web sia il luogo che permette agli adolescenti, soprattutto attraverso falsi profili, di esprimersi senza alcuna limitazione. L’autrice sottolinea come all’interno del web siano attualmente presenti veri e propri contenitori delle angosce adolescenziali. Un aspetto dell’autolesionismo non suicidario è la contagiosità. Tale fatto è evidenziato anche nella definizione presente nel DSM 5: “gli individui apprendono il comportamento spesso attraverso il suggerimento o l’osservazione di qualcun altro. La ricerca ha dimostrato che quando un individuo che mette in atto comportamenti di autolesività non suicidaria è ricoverato, altri individui possono cominciare a mettere in atto lo stesso comportamento”. Non è difficile comprendere come il web possa essere uno strumento che moltiplichi ed amplifichi le possibilità di contagio.

Prevenzione

L’autolesionismo non suicidario può essere considerato un fattore di rischio per la comparsa di condotte suicidarie ed il self-cutting rappresenta una delle condotte più frequentemente messe in atto, in particolare dagli adolescenti (Madge et al 2008). E’ un importante ed indipendente fattore predittivo di suicidio (Hawton et al. 2012) più di qualsiasi altra condotta di autolesionismo (Hawton, Saunders, O’Connor 2012).

L’autolesionismo ed il suicidio rappresentano una problematica sia sociale che di sanità pubblica, che richiede l’impegno di tutti, enti pubblici, privati e società civile per attuare interventi di prevenzione e di contenimento.

In letteratura non sono rintracciabili, per quanto concerne l’Italia, studi o ricerche che riportino dei programmi di prevenzione dell’autolesionismo attivi su tutto il territorio nazionale. Esistono, tuttavia, iniziative locali e progetti, tra questi alcuni sono promossi dalle neuropsichiatrie infantili delle Università.

L’ateneo di Torino gestisce il “Progetto SPES: sostenere e prevenire esperienze di suicidalità” orientato alla formazione per gli insegnanti, al fine di riconoscere precocemente segnali di malessere nei propri studenti.

Inoltre, Presso l’ospedale Bambino Gesù è attivo un centro per la prevenzione del suicidio in età evolutiva. Tale centro gestisce, in collaborazione con le ASL del Lazio, un percorso di assistenza e prevenzione dei casi di suicidio ed autolesionismo, con progetti terapeutici specialistici rivolti ai ragazzi ed alle famiglie .

Il team di internet Metters ha creato uno strumento di estensione web gratuito detto R;pple per prevenire autolesionismo e suicidio. Quando l’estensione R;pple viene aggiunta ad un browser web, se si effettua una ricerca di contenuti che riguardano autolesionismo o suicidio, si attiva un popup che indirizza gli utenti a risorse gratuite che operano nel campo della salute mentale per avere un supporto.

I programmi di prevenzione hanno l’obiettivo di intercettare precocemente le situazioni a rischio di autolesionismo e suicidio, di ridurre i fattori di rischio noti e incrementare i fattori protettivi (sostegno sociale e familiare, capacità di coping) favorendo l’accesso all’ assistenza sanitaria e sociale.

Conclusioni

Le cause che spingono un adolescente a mettere in atto condotte di autolesionismo sono molteplici, questo fenomeno è un’espressione di disagio, di sofferenza e di disregolazione emotiva. Nonostante le evidenze presenti in letteratura che indagano i fattori di rischio, la prevalenza, l’eziologia ed il funzionamento dell’autolesionismo non suicidario adolescenziale, occorre incentivare la ricerca. Un impulso ad effettuare nuovi studi viene dal dibattito suscitato dall’inclusione nel DSM-5-TR dell’autolesionismo non suicidario come disturbo indipendente. Il dilagare delle condotte autolesionistiche sul web è un fenomeno da comprendere a fondo.

Un limite delle attuali ricerche nel nostro paese è rappresentato dalla mancanza di studi supportati da una valutazione testistica.  Esistono test validati ma non dati sufficienti circa la loro efficacia in relazione al contesto italiano. La necessità di approfondire, attraverso studi scientifici, le conoscenze circa l’autolesionismo non suicidario, in particolare in adolescenza, nasce dall’urgenza di prevenire il rischio che tali condotte creano, anche come indicatori di possibili eventi suicidari futuri.

Inoltre, è necessario elaborare percorsi, oltre che di prevenzione, di terapia e riabilitazione il più possibile omogenei su tutto il territorio nazionale, che possano offrire interventi sufficientemente tempestivi e mirati.

 

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Cicatrici sulla pelle e ferite nell’anima. L’autolesionismo non suicidario adolescenziale