La psicodiagnostica psicodinamica integrata: un modello multidimensionale della personalità
Integrated psychodynamic psychodiagnostics: a multidimensional model of personality
Caporale R.¹, Battisti V. ²
¹-² IRPPI – Istituto Romano di Psicoterapia Psicodinamica Integrata
Riassunto
In questo lavoro proponiamo un modello integrato di psicodiagnostica psicodinamica e multidimensionale della personalità. L’analisi strutturale valuta l’attivazione, lo sviluppo e l’integrazione dei molteplici sistemi motivazionali alla base del comportamento umano, ridefinendo un’articolata teoria dei bisogni primari di natura strettamente intersoggettiva. L’analisi di funzionamento indaga la maturazione delle capacità di mentalizzazione e dei principali processi psichici, responsabili del modo in cui la personalità si adatta al proprio ambiente affettivo-interpersonale e delle strutture di significato poste al servizio del Se. L’analisi di organizzazione evidenzia le strategie difensive che l’individuo mette in atto per difendersi dai traumi relazionali significativi. In ottica di sviluppo, l’organizzazione emerge dal funzionamento ed il funzionamento emerge dalla struttura.
Parole chiave: psicodiagnostica psicodinamica integrata; modello multidimensionale della personalità; struttura di personalità; funzionamento di personalità; organizzazione di personalità; sistemi motivazionali.
Abstract
In this work we propose an integrated model of psychodynamic and multidimensional psychodiagnosis of personality. Structural analysis evaluates the activation, development and integration of the multiple motivational systems underlying human behavior, redefining an articulated theory of primary needs of a strictly intersubjective nature. Functional analysis investigates the maturation of mentalization abilities and the main psychic processes, responsible for the way in which the personality adapts to its affective-interpersonal environment and the structures of meaning placed at the service of the Self. The organizational analysis highlights the defensive strategies that the individual implements to defend himself from significant relational traumas. From a development perspective, organization emerges from functioning and functioning emerges from structure.
Keywords: integrated psychodynamic psychodiagnostics, multidimensional model of personality, personality structure, personality functioning, personality organization, motivational systems.
1. Nuovi fondamenti del processo psicodiagnostico: approccio clinico-psicodinamico ed agire integrato
Il processo o la situazione psicodiagnostica “è articolato ma ben definito momento dell’intervento psicologico finalizzato alla comprensione del funzionamento globale dell’individuo. Un senso della diagnosi che rimette al centro la persona ridimensionando il disturbo, che coglie il significato dei sintomi all’interno dei loro contesti, che parte da un’attenta analisi delle risorse a disposizione per pianificare un intervento” (Caporale e Roberti, 2013; 2019).
Noi psicoterapeuti psicodinamici integrati (PPI) consideriamo la psicodiagnostica una “psicodiagnostica psicodinamica” o “dinamicamente orientata”, avente come obiettivo quello di esplorare vari livelli o dimensioni della personalità e le loro relative interazioni.
Per definire una psicodiagnostica dinamica e distinguerla da altri approcci, risulta necessario che la situazione clinica soddisfi due requisiti strutturali:
– l’acquisizione da parte del professionista di un peculiare e costante assetto emotivo-motivazionale, cognitivo e relazionale nella modalità di conduzione dell’indagine psicologica e di ragionamento clinico;
– l’adozione di un valido modello esplicativo-inferenziale di funzionamento e di sviluppo della personalità e, conseguentemente, della psicopatologia e dei processi di cambiamento terapeutici.
Al fine di soddisfare il primo criterio è necessario partire dalla costruzione di un set ed un setting “su misura” per quel determinato paziente, in grado sia di comprenderne la sofferenza soggettiva (aspetto idiografico) che di elaborarne una diagnosi (aspetto nomotetico). Per allestire un ambiente psicologico con tali caratteristiche, il clinico deve necessariamente maturare un pool di competenze umane e professionali derivate da un profondo lavoro di analisi personale. Di seguito, le skills trasversali a nostro avviso necessarie:
a) Un’adeguata capacità di sintonizzazione affettiva con un’altra soggettività che permette la costruzione di un campo intersoggettivo emergente orientato prima agli obiettivi diagnostici e poi a quelli terapeutici;
b) Un’attenzione fluttuante tesa a sospendere il giudizio personale a favore della comprensione acritica di quello dell’”Altro”;
c) Una flessibilità clinica declinabile nella scelta, momento per momento, e da caso a caso, di strumenti tecnici, strategie e chiavi di lettura teorico-cliniche;
d) Una buona capacità di mentalizzazione volta all’individuazione dei nuclei affettivo-relazionali disfunzionali centrali del paziente attraverso l’analisi della dinamica transfert-controtransfert presente nel qui ed ora ed un’attenta ricostruzione biografica;
e) Una profonda motivazione all’esplorazione ed ai rapporti interpersonali che si esprima attraverso una sempre viva propensione nel lasciarsi incuriosire dal nuovo e dalla diversità.
Mantenere un tale assetto clinico sancisce inevitabilmente la piena entrata del professionista in una dinamica intersoggettiva nuova e totalizzante, in cui si incoraggia la collaborazione attiva del paziente. Risultato finale è un tipo di diagnosi che coglie dal di dentro il modo sempre unico di sentire, pensare, percepire, relazionarsi di quel determinato individuo, mettendo al centro l’esperienza soggettiva del paziente.
Inoltre, una psicodiagnostica clinica dovrebbe integrare nella propria prassi una modellistica del funzionamento psichico normale e patologico sempre più esplicativa e vicina all’esperienza umana percepita. A tal proposito, noi come psicoterapeuti PPI sosteniamo una visione dinamica e sistemica della personalità, personalità come proprietà emergente da una matrice relazionale ed intersoggettiva, sia nelle sue traiettorie evolutive normotipiche che patologiche.
Una psicodiagnostica clinico-dinamica per noi è anche una psicodiagnostica integrata poiché si sostanzia in una valutazione multidimensionale della personalità, basata su un’analisi multi-livello (strutturale, funzionale e di organizzazione) e multi-strumentale ossia attraverso l’utilizzo congiunto di differenti strumenti di indagine psicologica nomotetici e idiografici. I tre livelli diagnostici integrati tra loro permettono di restituire al paziente un’immagine verosimilmente completa del suo disagio e del background di personalità da cui il sintomo si è organizzato ed ha trovato un proprio equilibrio funzionale nella patologia.
Da tali premesse, nasce l’esigenza di ridefinire un ambito di conoscenza e competenza come quello della psicodiagnostica, punto di convergenza e campo interdisciplinare di saperi diversi, derivante, oltre che dalla pratica dei test, dalla psicologia clinica e generale, dalla psicopatologia clinico-descrittiva, dalla psichiatria di impostazione dinamica e dalla psicoterapia fino alla più lontana statistica psicometrica. Nostro obiettivo è, dunque, mettere al centro un metodo di indagine e valutazione della personalità, una teoria della tecnica che si fondi sui principi della “clinica psicodinamica” e dell’“integrazione”.
Una psicodiagnostica utile rappresenta un valido schema d’azione, allo stesso tempo, momento di valutazione e di terapia, diagnosi e cura che si prendono per mano, perché è proprio nella profonda comprensione dell’”Altro”, che l’”Altro” si rivela a noi e a sé stesso nella sua vera essenza come oggetto di osservazione e di studio.
2. La diagnosi: concetti di sanità di base e patologia
A monte di una seria revisione critica sul concetto di diagnosi, cosa intendiamo per condizione di sanità di base e condizione di patologia? E le condizioni di sanità mentale e di patologia sono categorie ben distinte senza soluzione di continuità oppure rappresentano due polarità di un unico continuum?
Per quanto riguarda i concetti di sanità mentale e patologia, la validità dei loro costrutti dipende dai criteri che si utilizzano per distinguerle.
Tradizionalmente, la medicina ha utilizzato fin dai suoi primordi per definire la patologia il criterio della” sofferenza soggettiva”. In tale paradigma, il dolore rappresenterebbe il marker fisiopatologico, ossia il segnale d’allarme attraverso il quale porre le basi per qualsiasi intervento medico. Qualora però noi traslassimo questa logica al disturbo mentale, ci renderemmo conto di quanto tale criterio possa rivelarsi semplicistico; per esempio, tutta l’area psicopatologica dei disturbi di personalità, ontologicamente egosintonica nella percezione di malattia, non sarebbe annoverata come una vera e propria patologia mentale.
Altresì, dal secolo scorso con la diffusione della statistica applicata alla psicologia e alla medicina, il rapporto tra sanità mentale e patologia è stato ridefinito su criteri puramente numerici; se oltre il 99% delle persone concordassero sull’interpretazione data ad una determinata situazione, l’unica persona che sosterrebbe il contrario sarebbe in questo caso patologica, perché deviante statisticamente da una realtà di significato condivisa. Tale logica ha rappresentato l’apice di una concezione categoriale del disturbo mentale, che ha fatto coincidere la sanità mentale con il concetto di normalità statistica.
Negli ultimi decenni, con la nascita di un approccio dimensionale ai disturbi della personalità, si è diffuso un terzo criterio che meglio sembrerebbe ridefinire il rapporto tra sanità mentale e patologia alla luce di una realtà clinica complessa. Parliamo di quello che già il DSM-III (APA, 1980) descriveva come “marcata compromissione in ambito lavorativo o sociale” e che oggi afferisce al criterio di disfunzione o non efficienza funzionale. In altre parole, non basta avere dei sintomi per rientrare in una condizione di malattia, serve, invece, che gli stessi siano così intensi, pervasivi e disorganizzanti da poter impattare in maniera negativa su uno o più contesti di vita, e minare il senso di efficacia personale e capacità di giudizio.
Quest’ultimo criterio, inoltre, permetterebbe di risolvere la diatriba teorica tra categoriale e dimensionale, riconsiderando normalità e patologia come due polarità di un unico continuum, attraverso le quali l’individuo può entrare ed uscire in diversi momenti del ciclo di vita.
La sanità mentale consisterebbe in una condizione di equilibrio dinamico, frutto della capacità integrativa della personalità tra differenti processi e stati del Se. Altresì, la patologia rappresenterebbe il fallimento di questo equilibro dinamico, effetto di una condizione di dissociazione strutturale della personalità a vari livelli di gravità, con conseguente rigidità caratteriale e compartimentalizzazione di parti del Se. Infatti, il fallimento dell’integrazione psichica, derivata dalla presenza di stati dissociativi, deve essere considerata la base sintomatologica di qualsiasi condizione psicopatologica di lieve, media e grave entità della personalità.
3. I livelli psicodiagnostici della personalità: un modello multidimensionale
Una psicodiagnostica psicodinamica secondo il nostro modello PPI deve necessariamente procedere ad una valutazione multidimensionale della personalità prima di organizzazione, poi di funzionamento, infine, di struttura. In un’ottica di sviluppo, l’organizzazione emerge dal funzionamento ed il funzionamento a sua volta emerge dalla struttura.
L’analisi di organizzazione, su cui il clinico in prima battuta dovrà orientare la propria attenzione, è sostanzialmente un’analisi dell’organizzazione difensiva più o meno patologica che l’individuo, prima bambino e poi futuro paziente, strutturerà inconsciamente per la maggior parte della propria vita psichica su uno o più tratti caratteriali. Più i tratti della personalità appaiono rigidi e pervasivi più denotano alla base deficit di funzionamento psichico derivati a sua volta da deficit/conflitti tra sistemi motivazionali da cui ci si difende. Ad esempio, un’organizzazione di personalità patologica come quella isterica o ossessiva nasce proprio dal tentativo di regolare ansie ed angosce derivate dai conflitti motivazionali tra sistema attaccamento e sistema sessualità e compensare deficit legati a modalità di pensiero del “far finta”.
Come vedremo più avanti, la nostra riformulazione delle organizzazioni patologiche di personalità come organizzazioni difensive ci spinge a proporre una loro nuova classificazione sulla base delle sempre maggiori evidenze riguardanti la neurobiologia del trauma e le sue relative strategie difensive autonomiche. I disturbi del carattere, ad oggi meglio ridefiniti nell’accezione più ampia disturbi di personalità, sono organizzazioni difensive che possono essere meglio raggruppate in organizzazioni fight (di controllo), organizzazioni flight (di fuga o evitamento) ed organizzazioni freezing (dissociazione). Ogni tipologia o stile di tratto rientrerebbe in una di queste modalità di risposta al trauma di natura intersoggettiva.
L’analisi del funzionamento di personalità rappresenta un secondo livello diagnostico da indagare che permette di valutare l’adeguata o meno maturazione di quei processi psichici (o cosiddette funzioni) alla base di un buon adattamento all’ambiente psicoaffettivo. Riteniamo, come psicoterapeuti PPI, che analizzare il funzionamento vuol dire valutare innanzitutto i processi di mentalizzazione, funzioni sovraordinate dalle quali derivano altre più specifiche, alla base sia di uno sviluppo sano che patologico della personalità.
L’acquisizione di una piena capacità di mentalizzazione (Fonagy e Target, 2001), corrispondente allo sviluppo di un codice di elaborazione delle informazioni di tipo simbolico-verbale (Bucci, 1997; 2001; 2002), rappresenta per noi la base di un’adeguata maturazione di tutte le altre funzioni psichiche più specifiche di natura psicodinamica, messe a fuoco sistematicamente dalla clinica psicanalitica, quali ad esempio l’esame di realtà, la regolazione emotivo-affettiva, le capacità di investimento oggettuale, l’identità.
Il sano sviluppo sia dei processi di mentalizzazione che delle funzioni psichiche più specifiche deriverà a sua volta dal sano sviluppo ed integrazione tra loro dei molteplici sistemi motivazionali, come lo sviluppo patologico delle medesime funzioni sarà determinato da un deficit o da una mancata integrazione dei sistemi motivazionali sottostanti alle funzioni stesse.
Terzo ed ultimo piano d’indagine, concettualizzazione originale del nostro modello, è rappresentato, infatti, proprio dall’analisi strutturale che indagherà l’attivazione, lo sviluppo e l’integrazione dei principali sistemi motivazionali intersoggettivi ed i relativi qualia affettivi, mostrando le peculiari configurazioni degli stessi alla base delle differenti forme di psicopatologia della personalità. Un esempio di ciò è rappresentato dal funzionamento di personalità nevrotico che nascerebbe dallo sdoppiamento di un sistema attaccamento insicuro ed un sistema sessualità disinibito o inibito a seconda del caso (Lago, 2006; 2016). I sistemi motivazionali, geneticamente inscritti nella biologia dell’essere umano, si attiverebbero in determinate finestre evolutive e necessiterebbero per maturare in maniera adeguata di relazioni intersoggettive valide che in quel dato momento si formerebbero attorno ad un emergente bisogno o interesse evolutivo comune. Dunque, le relazioni umane sono basate ed orientate da una teoria dei bisogni primari (fondamentali) e non da più o meno oscure pulsioni di natura endogena. Ad esempio, un caregiver che abbia maturato (attivato) il bisogno di prendersi cura di qualcuno (sistema di caregiving) svilupperà una capacità di sintonizzazione verso un bambino che abbia bisogno di sicurezza e di una conseguente base sicura che lo protegga dai pericoli (sistema di attaccamento).
Altresì, la presenza di traumi semplici e complessi soprattutto nelle prime fasi dello sviluppo e nelle prime relazioni esporranno il bambino a prolungate mancate sintonizzazioni (rotture senza riparazioni), fino a fenomeni di collasso dell’intersoggettività, che a loro volta non permetteranno l’organizzazione adattiva dei molteplici sistemi motivazionali alla base della vita psichica dell’individuo. Ad esempio, un distorto sviluppo del sistema motivazionale attaccamento produrrà un conseguente inadeguato sviluppo di processi e funzioni psichiche emergenti quali le rappresentazioni nucleari del sé, le capacità di investimento oggettuale, l’esame di realtà.
Ricapitolando, in ottica evolutiva, la mancata attivazione, sviluppo o integrazione di un qualsiasi sistema motivazionale genererà deficit funzionali innanzitutto delle capacità di mentalizzazione e, allo stesso tempo, predisporrà ad un’organizzazione della personalità basata su uno o più tratti patologici, tratti con un alto valore difensivo dalla natura traumatica dell’intersoggettività. Inoltre, la prolungata assenza di sintonizzazione o addirittura il collasso dell’intersoggettività stessa, in un dato periodo dello sviluppo, potrà favorire, a livello strutturale, l’attivazione di un sistema motivazionale alternativo. Tale sistema motivazionale perderà le caratteristiche di intersoggettività e, dunque, di espansione dello stato del Se ed avrà una natura imitativa rispetto al sistema madre di derivazione.
Di seguito, approfondiremo ogni singolo livello diagnostico in ordine evolutivo. Se la personalità la concettualizzassimo come un edificio, i sistemi motivazionali ed i relativi affetti equivarrebbero alle fondamenta, le funzioni psichiche ai piani, i tratti caratteriali al tetto o copertura.
3.1 Psicodiagnosi strutturale
La dimensione più profonda e alla base di tutte le altre da valutare secondo un modello multidimensionale è l’analisi del piano strutturale, ossia della struttura della personalità. La diagnosi di struttura è andata in disuso molti decenni fa (Bergeret 1984), a favore di una diagnosi funzionale che sempre più ha preso piede già da fine anni ’80 ed inizi anni ’90 del secolo scorso. Obiettivo di questo lavoro è recuperare a livello teorico-clinico tale termine poiché crediamo ancora nel suo attuale valore psicodiagnostico, a patto di riformulare il concetto di struttura in un’accezione diversa.
La diagnosi di struttura è da intendersi, secondo noi, come una valutazione delle disposizioni motivazionali. Parlare dunque di struttura non vuol dire riferirci ad una concezione della personalità organizzata, con istanze psichiche stabili ed irreversibili, ma più semplicemente al fatto che si riorienti l’attenzione a ciò che è alle fondamenta della personalità, che muove tutto e da cui si sviluppano gli altri livelli mentali. Più nello specifico, alla base di importanti processi e funzioni adattive interdipendenti tra loro, vi sono particolari assetti motivazionali e, di conseguenza disposizioni emotivo-affettive, che via via si vanno articolando nella loro complessità, e dalla quale emergono e si sviluppano proprio le funzioni stesse.
Dunque, fare un’analisi di processo o funzionale significa fare innanzitutto un’analisi della struttura di personalità. Le funzioni emergono dalla struttura e la struttura psichica individuale nasce a sua volta dalla nascita di un nuovo campo intersoggettivo, ossia da una relazione vitale significativa.
Da ciò ne deriva che la diagnosi strutturale sia una valutazione dell’attivazione, dello sviluppo e dell’integrazione dei molteplici sistemi motivazionali, concettualizzati come bisogni da soddisfare e regolare emergenti da sempre differenti campi intersoggettivi e che si manifestano in specifiche finestre evolutive.
La letteratura psicanalitica fin dai suoi albori ha riconosciuto svariate motivazioni alla base del comportamento umano, in particolare negli ultimi decenni l’attaccamento con tutte le sue relative implicazioni (Holmes, 2014). Il modello PPI di sviluppo della personalità e della psicopatologia (Lago, 2006; 2016) ha fin dall’inizio puntato sul dualismo motivazionale tra sistema attaccamento e sistema sessualità, riconoscendo l’importanza di questi due assi nella costruzione dell’identità, nella qualità delle relazioni interpersonali e degli affetti, nell’organizzazione del pensiero, in altre parole nello sviluppo del funzionamento di personalità sano e patologico.
In sintesi, la frammentazione psicotica deriverebbe da un sistema attaccamento adesivo ed un sistema sessualità assente (Caporale et al. 2023), la polarizzazione borderline da un sistema attaccamento disorganizzato ed un sistema sessualità perverso (Lago, 2006; 2016), lo sdoppiamento isterico da un sistema attaccamento organizzato ma insicuro ed un sistema sessualità non integrato (Lago, 2006; 2016).
Recentemente, Caporale e Battisti (2023) hanno dato vita ad una quarta categoria psicodinamica di psicopatologia della personalità, ossia quella della polarizzazione depressivo-narcisistica che deriverebbe da un sistema attaccamento insicuro ambivalente ed un sistema esplorativo-assertivo non organizzato. Dunque, le patologie di livello narcisistico della personalità si strutturerebbero dal mancato sano sviluppo di un terzo sistema motivazionale nel nostro modello PPI, quello che noi consideriamo orientato all’accrescimento della conoscenza, all’acquisizione di competenze e dunque alla costruzione di un senso di agentività e di efficacia personale.
Malgrado ciò, appare oggi necessario un ulteriore ampliamento della diagnosi strutturale con l’aggiunta concettuale di ulteriori sistemi motivazionali. Riteniamo, dunque, che per comprendere a pieno l’ampia gamma dei disturbi della personalità ed in generale di gran parte della psicopatologia si debba necessariamente aggiornare il modello della PPI integrando al proprio interno una teoria e pratica d’intervento dei sistemi motivazionali più completa. Si deve riconoscere come nello sviluppo sano e patologico della personalità, in differenti finestre evolutive, si attivino, si organizzino e si integrino molteplici sistemi motivazionali, tutti quanti strutturali, e non solamente l’attaccamento e la sessualità.
Lungo il corso dello sviluppo, lo scambio intersoggettivo, vitale e strutturante, genera nell’individuo una serie di bisogni ad alto valore adattivo da soddisfare che coprono tutto l’arco di vita e non solamente l’età evolutiva. I bisogni e la loro regolazione sono le vere motivazioni che muovono la decisione ed il comportamento umano. Essi si possono attivare, disattivare e riattivare in funzione della fase di sviluppo e dell’equilibrio dinamico o meno con gli altri sistemi motivazionali. Tutti concorrono allo sviluppo del Se come sistema sovraordinato; un rapporto armonico tra sistemi motivazionali permette la costruzione di un Se unitario nella molteplicità, coerente anche nella conflittualità, unico malgrado il bisogno di essere simili agli altri.
Sulla base della nostra esperienza riguardo la clinica adulta maturata nell’ultimo ventennio con il modello PPI, delle recenti ricerche osservative sui bambini e degli studi sulle evidenze neuroscientifiche, riteniamo che, per costruire un valido e più completo modello esplicativo dell’eziopatogenesi della psicopatologia della personalità e delle principali sindromi cliniche, sia di fondamentale importanza valutare l’attivazione, lo sviluppo e l’integrazione tra loro di cinque sistemi motivazionali, ad alto valore psicodinamico e psicobiologico.
Il primo, quello più basilare e portante, è rappresentato dal sistema attaccamento. Il sistema attaccamento che Bowlby (1976; 1978; 1983; 1989) per primo mise in luce nasce dall’esigenza di avere innanzitutto una regolazione psicobiologica efficace grazie ad un caregiver che a sua volta esprima un complementare bisogno di accudimento, ossia quello di prendersi cura fisicamente e psicologicamente di qualcun altro. Successivamente, tale esperienza permetterà di maturare la necessità di avere nel tempo una base sicura dalla quale ritornare ogni qualvolta si percepisca di essere in pericolo, sia che il pericolo sia interno o esterno, reale o potenziale. L’ansia o la paura di qualcosa o qualcuno minaccioso riattiverà tale sistema durante tutto l’arco di vita. Il sistema accudimento emergerà successivamente dalla corretta organizzazione del sistema attaccamento, come a volte si nota nel gioco con le bambole o con il senso di premura che si sviluppa nella gestione dei fratelli o sorelline. La non organizzazione o la disorganizzazione di tale sistema è alla base sia delle strutturazioni psicotiche che di quelle borderline a basso funzionamento. Il sistema motivazionale che si attiva difensivamente in sostituzione ed in alternativa è rappresentato da forme di ricerca adesiva ed imitativa di vicinanza fisica o di dipendenza patologica in cui non vi è spazio per alcuna forma di interiorizzazione e simbolizzazione della funzione contenitiva di attaccamento (sistema di attaccamento adesivo).
Il secondo sistema è quello esplorativo-assertivo, introdotto nel modello PPI da Caporale e Battisti (2023). Tale asse motivazionale, che si attiva dai 2-4 anni in avanti, emerge dalla capacità del bambino di sapersi separare dalla figura di caregiver quanto basta per spingersi oltre ed assaporare il piacere della conoscenza e l’entusiasmo della scoperta. La curiosità per tutto ciò che è nuovo e le nuove più raffinate capacità cognitive, genererebbero competenze sempre maggiori e da questo momento in poi un maggiore senso di agentività e di efficacia personale. Il sistema esplorativo lo consideriamo come Lichtenberg (1989; 1992; 2012) un tutto uno con l’assertività poiché il fine del piacere di accrescere le proprie skills sarebbe anche quello della dominanza, un potere che si raggiungerebbe però per competenza e dunque per ruolo sociale anziché per competizione o antagonismo basato su un’aggressività manifesta. Il mancato sviluppo o lo sviluppo disarmonico del sistema esplorativo-assertivo contribuirebbe alla strutturazione dei funzionamenti narcisistici e delle patologie ansioso-depressive su base corrispondente. Il sistema motivazionale che si attiva difensivamente in sostituzione ed in alternativa ha come obiettivo la dominanza interpersonale e si manifesta con forme compulsive-impulsive di ricerca della novità e di potere come sistema di controllo e manipolazione attraverso la superiorità culturale ed intellettuale (sistema agonistico o di rango).
Il terzo sistema ossia quello della sessualità ha rappresentato la base motivazionale/pulsionale della metapsicologia freudiana e della psicanalisi classica per lungo tempo e fino all’avvento della svolta relazionale (Eagle, 2012; 2013). La sessualità deve essere intesa, innanzitutto, come sessualità di coppia o comunque tendente al legame stabile e duraturo, la cui finalità nasce dal bisogno di sperimentare una profonda intimità psicologica, senso di abbandono e perdita dei confini con l’Altro. L’intimità psicologica è ovviamente preceduta ed incentivata dall’intimità fisica che si crea a seguito della chimica dell’attrazione. La stessa sessualità istintuale viene, infatti, sempre più direzionata dalla tarda adolescenza in poi verso situazioni sentimentali che assicurino una maggiore integrazione con i bisogni psicologici di fusionalità psichica. Per tale ragione, riteniamo che il sistema sessualità, nelle sue caratteristiche di intersoggettività, si attivi dalla pubertà in poi, si sviluppi lungo tutto l’arco dell’adolescenza e post-adolescenza, fino ad arrivare a maturazione nella giovane età adulta. La progettualità permette a tale ricerca di condivisione intima di estendersi anche nel futuro anteriore della coppia, alimentando il desiderio di stare insieme. Lo sviluppo disarmonico o la mancata integrazione del sistema sessualità con il sistema attaccamento contribuirebbe alla strutturazione dei funzionamenti nevrotici. Il sistema motivazionale che si attiverebbe difensivamente in sostituzione ed in alternativa perseguirebbe la ricerca del godimento immediato attraverso una sessualità primitiva senza legame o affettività (sistema sessualità primitivo).
Il quarto sistema quello di accudimento, sebbene derivato dal sistema attaccamento, rappresenta, per noi come per altri clinici, un sistema a se stante (Lichtenberg, 2012; George e Solomon, 1999). L’accudimento come motivazione, al pari della sessualeità, si attiva con la pubertà, resta immatura fino all’adolescenza ed emerge chiaramente in età adulta, e non solo nelle donne future madri. Come Lichtenberg (2012) sostiene: “Consideriamo che il caregiving un sistema motivazionale distinto che stabilisce obiettivi più generali rispetto a quello limitato alle cure materne”. Tale sistema si attiva non solamente nell’allevamento della prole ma si generalizza a persone terze quando viene manifestato uno stato di dipendenza fisica e psicologica. L’obiettivo è quello dell’autonomizzazione e dell’indipendenza. Il mancato sviluppo o lo sviluppo disarmonico del sistema di accudimento contribuirebbe alla strutturazione di tutte quelle psicopatologie della vita quotidiana, o come
diremmo noi nevrosi attuali riformulando Freud, declinabili in forme depressive miste, tristezza vitale, ansia ed attacchi di panico, male di vivere. Il sistema motivazionale che si attiverebbe difensivamente in sostituzione ed in alternativa è un bisogno fisiologico di avere un figlio senza sviluppare un relativo spazio mentale ed un atteggiamento di resa altruistica (sistema di accudimento biologico).
Il sistema affiliativo, quinto ed ultimo, è rappresentato dal bisogno di appartenenza ad un gruppo (sociale, culturale, politico o religioso) che metta nelle condizioni l’individuo di sperimentarsi parte di un tutto, di qualcosa di più grande, favorendo lo sviluppo di un senso di utilità e di comportamenti prosociali. Malgrado la prima attivazione ed organizzazione del sistema si abbia già in età prescolare, con l’esperienza della famiglia come prima forma di società ed in età scolare con le molteplici agenzie di socializzazione, il bisogno di affiliazione in quanto sistema motivazionale responsabile della psicopatologia emergerebbe dall’età adulta in poi. Infatti, proprio in una fase più avanzata, tale affiliazione permetterebbe anche una migliore elaborazione dell’angoscia di morte attraverso la condivisione di un senso e di un destino comune. Il mancato sviluppo o lo sviluppo disarmonico del sistema affiliativo contribuirebbe, alla stessa stregua del sistema di accudimento, alla strutturazione di tutte quelle psicopatologie della vita quotidiana più vivine alla mezza età e legate alla percezione di trascinamento esistenziale, insoddisfazione di vita, paura della malattia e della morte. Il sistema motivazionale che si attiva difensivamente in sostituzione ed in alternativa imita lo stare in gruppo ma se ne differenzia perché l’individuo vive tutto questo come un senso del dovere, senza dunque un vero coinvolgimento emotivo (sistema di appartenenza sociale formale).
Allo stato dell’arte non riconosciamo come vero sistema motivazionale quello che Lichtenberg (1989; 1992; 2012) definisce “sistema avversivo” poiché a nostro avviso tale meccanismo rappresenta un sistema di difesa e non motivazionale. L’aggressività anche difensiva che può esitare in comportamenti primitivi di attacco/fuga sono già il risultato di un collasso dell’intersoggettività e dunque una difesa dalla relazione. Tutti i veri sistemi motivazionali umani sono sempre sistemi interpersonali.
Per quanto riguarda l’esistenza di un possibile “sistema cooperativo” indipendente dagli altri e che Liotti (Liotti e Monticelli, 2008; 2014; Liotti et al. 2017) mette al centro della propria teoria cognitivo-evoluzionistica, riteniamo invece come la cooperazione sia una proprietà trasversale a tutti i sistemi motivazionali. Affinché tutti i sistemi siano intersoggettivi, ci deve essere inevitabilmente cooperazione, ossia la reciproca attenzione congiunta cognitiva e convergenza emotiva su ciò che è oggetto di interesse comune (bisogno primario condiviso).
Infine, importante è anche una doverosa precisazione sulla nostra classificazione presentata. I sistemi motivazionali che noi consideriamo non rappresentano tutte le motivazionali umane ma sono solamente quelli
che, dalla clinica adulta e osservativa dell’età evolutiva, riteniamo essere alla base dell’eziopatogenesi delle più importanti psicopatologie della personalità e sindromi cliniche, anche in fasi avanzate del ciclo di vita.
Vicini ad una prospettiva kohutiana, riteniamo che tutti i sistemi motivazionali su citati sostengano la crescita del Se, come sistema sovraordinato. Il Se come centro della personalità, che regola e viene regolato dagli stessi sistemi motivazionali, è costituto all’inizio dello sviluppo da molteplici stati indifferenziati e non connessi tra loro, che grazie a validi scambi affettivi intersoggettivi procedono verso un’integrazione. La costante ricerca di un equilibrio dinamico tra i differenti sistemi motivazionali contribuisce a formare uno stato del Se che ci fa sentire continui nel tempo, coerenti nella molteplicità ed unici malgrado le spinte conformistiche della società e dei gruppi di appartenenza.
3.2 Psicodiagnosi di funzionamento
Da ogni matrice intersoggettiva nuova e dallo sviluppo e dall’integrazione degli svariati sistemi motivazionali, nascono come proprietà emergenti le funzioni psichiche, ossia processi che permettono un migliore adattamento tra l’individuo e l’ambiente fisico e sociale.
È un livello o una dimensione diagnostica che risponde alla domanda: “Come funziona quel determinato paziente in termini di equilibrio dinamico tra processi psichici” (Caporale e Roberti, 2013; 2019). L’analisi delle funzioni psichiche, o anche chiamati domini funzionali, si sostanzia in una valutazione basata sul criterio della loro adeguatezza/inadeguatezza, permettendo al clinico di stilare un vero e proprio profilo funzionale della personalità, o cosiddetta diagnosi funzionale. In una valutazione a questo livello si coniugano bene le riflessioni di Western (2003) riguardo al fatto che valutare il funzionamento sia “una questione che ha a che fare con le interazioni dinamiche, intrapsichiche e intrasistemiche, dei processi psicologici”. A questo livello di analisi, la personalità viene studiata nel suo continuo divenire e l’equilibrio psichico è concepito non come una condizione stabile e data come immutabile ma sempre in continua ridefinizione, ossia un equilibrio dinamico.
Come introdotto concettualmente nel paragrafo precedente, per noi clinici della PPI, le funzioni sovraordinate a tutte le altre e, dunque, quelle che maggiormente determinano il modo di funzionare di una data personalità in termini di adattamento, specifiche della specie umana, sono le capacità di mentalizzazione, ossia quelle modalità di organizzazione del pensiero che processano le informazioni di natura affettiva (affettività mentalizzata) e generano dunque strutture di significato.
La mentalizzazione può essere definita, infatti, come la capacità di comprendere le azioni proprie e altrui in termini di stati mentali intenzionali (pensieri, sentimenti, desideri), una capacità emergente all’interno di una relazione di attaccamento sicuro, e responsabile della costruzione di un senso di sé stabile e di relazioni interpersonali intime caratterizzate da reciprocità e stabilità (Allen et al., 2008; Allen et al., 2010; Bateman e Fonagy, 2006). I processi di mentalizzazione sono, dunque, capacità riflessive che l’individuo progressivamente acquisirebbe attraverso alcune fasi dello sviluppo. Mettere al centro il concetto di mentalizzazione nella clinica diagnostica e nell’intervento psicoterapeutico vuol dire ritenere asse portante dello sviluppo sano e patologico della personalità la maturazione delle capacità di pensiero, dalle sue primitive modalità preriflessive a quelle più mature simbolico/riflessive.
Il raggiungimento o no di adeguate capacità di mentalizzazione è stato un marker centrale alla base di importanti modelli clinici dello sviluppo e della psicopatologia come quelli di Bion (1971; 1972; 1973) e Fonagy (Fonagy e Target, 2001), ed ha rappresentato da più di vent’anni anche l’ossatura della diagnosi psicodinamica fino ad oggi del nostro modello PPI. Vediamo sinteticamente i livelli maturativi della mentalizzazione e dunque dell’organizzazione del pensiero:
– Un primo livello che noi riconosciamo è un quello psicobiologico cosiddetto “protomentale”, dato fin dalla nascita, implicito, subsimbolico, costituito da memorie sensoriali, schemi motori ed emotivo-affettivi di essere con”, informazioni processate come inconscio non rimosso. Tale concetto di protomentale di derivazione bioniana può essere accostato alle modalità preriflessive, teleologiche e di equivalenza, di Fonagy;
– Dal secondo anno di vita emergerebbero forme di pensiero più simbolico-rappresentative da noi riformulate con il concetto di “pensiero inconscio”. Tali prodotti mentali sono gli elementi Beta di Bion, rappresentazioni simboliche non verbali in cui è centrale l’imagery, presente in tutte le modalità sensoriali (non solo immagini visive), informazioni processate come inconscio rimosso o dinamico. Il pensiero inconscio può essere accostato alla modalità preriflessive del far finta di Fonagy;
– Dal quarto anno di vita, la progressiva acquisizione delle capacità riflessive, derivata dall’introduzione dell’uso simbolico del linguaggio, permette una codifica verbale attraverso l’uso della parola come simbolo, informazioni preconsce che, una volta elaborate in forma di nuove trame narrative, espanderebbero i livelli di coscienza e dunque lo stato del Se. Tale ultimo stadio di sviluppo da noi rinominato “pensiero verbale” sarebbe raggiunto dalla capacità del bambino di integrare le modalità di pensiero preriflessive dell’equivalenza psichica e del far finta di Fonagy.
Dallo sviluppo delle capacità di mentalizzazione come funzioni sovraordinate ne deriva lo sviluppo di funzioni psichiche più specifiche ad alto valore psicodinamico che permettono l’adeguato adattamento tra la personalità ed il suo ambiente.
L’asse P del Manuale Diagnostico Psicodinamico (PDM) (PDM Task Force, 2006) propone un elenco di sette macro-domini, unità di base imprescindibili per una valutazione psicodinamica della personalità. Il nostro modello PPI fa propria tale concettualizzazione, ritenendola ad oggi valido punto di riferimento per una psicodiagnosi funzionale della personalità. Mutuando le categorie del PDM, questa dimensione permette in maniera innovativa per ogni funzione/dominio di valutare il suo livello di maturazione e dunque di adeguatezza/inadeguatezza della funzione stessa attraverso l’individuazione di diversificati qualia psicopatologici.
Di seguito, l’elenco di ciascuna funzione secondo l’asse P del PDM (PDM Task Force, 2006). Le definizioni ed i differenti livelli di maturazione sono stati elaborati dal nostro gruppo di lavoro e presentati per la prima volta in questo articolo:
- Identità → capacità di vedere sé stessi e gli altri in modi articolati, stabili e precisi (capacità di elaborazione delle rappresentazioni del se e degli altri). Livelli evolutivi di sviluppo della funzione (tab.3):
- Relazioni oggettuali → capacità e disponibilità a mantenere relazioni intime stabili e soddisfacenti (investimento oggettuale). Livelli di evolutivi di sviluppo della funzione (tab.4):
- Tolleranza degli affetti → capacità di fare esperienza dentro di sé e percepire negli altri l’intera gammadegli affetti appropriati a una certa età (riconoscimento e distinzione delle diverse emozioni ed affetti, affettività mentalizzata). Livelli evolutivi di sviluppo della funzione (tab.5):
- Regolazione degli affetti → capacità di regolare gli impulsi e gli affetti in modi che favoriscano l’adattamento e la soddisfazione attraverso il ricorso flessibile a meccanismi di difesa o strategie di coping. Livelli evolutivi di sviluppo della funzione (tab.6):
- Coscienza morale → capacità di funzionare secondo una sensibilità morale coerente (integrazione del Super-io). Livelli evolutivi di sviluppo della funzione (tab.7):
- Esame di realtà → capacità di comprendere le nozioni convenzionali di ciò che è realistico ovverosia condiviso socialmente. Livelli evolutivi di sviluppo della funzione (tab.8):
- Forza dell’Io → capacità di saper rispondere in modo positivo agli stress e riprendersi da eventi dolorosi senza difficoltà eccessive (stili di coping) e capacità di saper rispondere da minacce interne senza distorcere eccessivamente il grado di libertà dell’individuo (meccanismi di difesa). Livelli evolutivi di sviluppo della funzione (tab.9):
La stesura di un profilo funzionale permette di stabilire subito dopo il grado di maturazione raggiunta (livello evolutivo) del funzionamento di personalità in generale. Dalla valutazione del profilo funzionale si passa dunque ad una valutazione di funzionamento globale della personalità. Le diverse configurazioni (o pattern di funzionamento) vengono classificate in base ad una gerarchia di livelli più o meno maturi sul piano evolutivo che determinano il grado di benessere psicologico della persona e la sua capacità di adattamento all’ambiente fisico e sociale. Anche in questo caso, in accordo con le categorie del PDM-2 (Lingiardi e McWiliams, 2017) e delle maggiori classificazioni psicanalitiche (Kernberg, 1984; Clarkin et al. 2011; McWilliams, 2012), riconosciamo quattro livelli di funzionamento psichico quali nevrotico, borderline alto, borderline basso e psicotico, pattern che vanno da un più alto ad un più basso grado di maturazione della personalità.
3.3 Psicodiagnosi di organizzazione
L’analisi di organizzazione, come già sottolineato, è sostanzialmente un’analisi dell’organizzazione difensiva più o meno patologica della personalità. La valutazione di organizzazione può anche essere chiamata valutazione personologica o caratterologica, o anche tipologica/di stile della personalità secondo il PDM-2, e risponde alla domanda: “Quali caratteristiche di personalità il paziente esprime ricorrentemente nella relazione con l’Altro?” (Caporale e Roberti, 2013, 2019).
Il perno concettuale alla base di questo livello di analisi dimensionale, che secondo noi è utile recuperare, è incentrato dunque sul costrutto teorico di carattere derivato dagli studi descrittivi e classificazione psicopatologica di stampo psicoanalitico (Shapiro, 1978). Possiamo definire il carattere come la modalità con la quale l’individuo esprime il proprio modo di essere attraverso la relazione con l’”Altro”, o cosiddetto appoggio oggettuale.
L’unità di base del carattere è il tratto, da considerarsi come la tendenza della persona a reagire in modi specifici e relativamente stabili a situazioni intrapsichiche ed interpersonali. In un’ottica dimensionale, tutti quanti portiamo dentro di noi caratteristiche/tratti riconducibili a molteplici stili di personalità e le differenze individuali emergerebbero dunque in base all’intensità e alla combinazione tra essi. Nessun tratto è patologico di per sè, tutti i tratti sono funzionali all’adattamento sociale se flessibili, ossia quando mostrino la capacità di attivarsi e disattivarsi in rapporto funzionale agli switch tra differenti contesti di vita.
Quando i tratti perdono questa proprietà divengono più rigidi e meno contesto-dipendenti, favorendo lo sviluppo di nuclei del carattere e, in ultima analisi, di organizzazioni patologiche o patologie del carattere.
Un nucleo del carattere è un tratto dominante su tutti gli altri. La rigidità con la quale si attiva il tratto dominante in taluni contesti è funzionale ma in altri disfunzionale. Non rappresenta ancora una psicopatologia della personalità ma comunque un sotto soglia clinicamente significativo.
L’organizzazione patologica del carattere è, invece, il tratto che satura l’intero campo psichico e ne rappresenta l’unica modalità pervasiva di risposta all’ambiente. Solitamente, una patologia del carattere, psicodinamicamente intesa, corrisponde a livello categoriale ad un disturbo della personalità (DMS-5-TR, 2023).
In sintesi, ogni tratto può dunque presentare livelli crescenti di flessibilità/rigidità, determinandone il grado di pervasività in una linea di continuità tra normalità e patologia. Secondo il nostro modello multidimensionale PPI, più i tratti della personalità apparirebbero rigidi e pervasivi più denoterebbero alla base deficit di funzionamento psichico, derivati a sua volta da deficit/conflitti tra sistemi motivazionali da cui ci si difende.
La nostra riformulazione delle organizzazioni patologiche di personalità come organizzazioni difensive ci spinge a proporre una loro nuova classificazione sulla base delle sempre maggiori evidenze riguardanti la neurobiologia del trauma e le sue relative strategie difensive autonomiche. Se i disturbi del carattere, ad oggi meglio ridefiniti nell’accezione più ampia disturbi di personalità, sono organizzazioni difensive, queste ultime possono essere meglio raggruppate in organizzazioni fight o di controllo, organizzazioni flight o di evitamento ed organizzazioni freezing o di dissociazione. Ogni tipologia o stile di tratto rientrerebbe in una di queste modalità difensive.
Di seguito, le organizzazioni di personalità integrate nel nostro modello psicodiagnostico psicodinamico multidimensionale mutuate dall’impianto della SWAP-200 (Shedler et al., 2014), strumento evidence based che utilizza il metodo statistico Q-sort nella costruzione delle categorie cliniche, dall’Asse P del Manuale Diagnostico Psicodinamico- 2 (PDM-2) (Lingiardi e McWiliams, 2017) e dalle maggiori classificazioni psicanalitiche attualmente riconosciute (McWilliams, 2012; Kernberg, 1984). Ciascuna organizzazione della personalità, se patologica, rientra in una delle tre strategie difensive legata al trauma dell’intersoggettività.
Conclusioni
Abbiamo proposto in questo articolo un aggiornamento della psicodiagnosi PPI consistente in una valutazione della personalità multidimensionale attraverso l’analisi di tre livelli, prima di organizzazione, poi di funzionamento, infine di struttura. Tale sforzo integrativo consente, innanzitutto, di rimettere al centro una diagnosi di struttura basata sul recupero di una teoria dei sistemi motivazionali che consiste nel soddisfacimento e nella regolazione di bisogni primari, e non di fantomatiche pulsioni. In seconda battuta, l’analisi del funzionamento di personalità da noi proposta permette di eleggere le capacità di mentalizzazione come funzioni perno rispetto alle altre, responsabili sia di uno sano sviluppo che di traiettorie psicopatologiche, e di ridefinire le categorie protomentale, pensiero inconscio e pensiero verbale come differenti modalità di organizzazione del pensiero più o meno mentalizzanti. Infine, la diagnosi di organizzazione intesa come analisi dell’assetto difensivo del paziente, derivato da un trauma intersoggettivo precoce, apre la strada verso una riformulazione di una nuova classificazione dei disturbi di personalità su base neurobiologica ed autonomica.
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La psicodiagnostica psicodinamica integrata: un modello multidimensionale della personalità
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