La psicoterapia psicodinamica integrata applicata ad un caso di psicopatologia della contemporaneità
Integrated psychodynamic psychotherapy applied to a case of contemporary psychopathology
Single case study
Caporale R.¹, Battisti V. ²
¹-² IRPPI – Istituto Romano di Psicoterapia Psicodinamica Integrata
Riassunto
In questo studio, si descrive la metodologia del modello di psicoterapia psicodinamica integrata (PPI) applicata ad un caso seguito presso il centro clinico del nostro istituto. Il processo terapeutico è costituito dalla presenza di tre fasi chiamate esperienza emozionale riparativa, mentalizzazione ed espansione dello stato di coscienza, distinte tra loro per obiettivi e tecniche d’intervento. Nello specifico, questo caso rappresenta un tipico paziente adolescente/giovane adulto in fase di strutturazione borderline e con possibile doppia diagnosi.
Parole chiave: psicoterapia psicodinamica integrata; esperienza emozionale riparativa; mentalizzazione; espansione dello stato di coscienza.
Abstract
In this study, we describe the methodology of integrated psychodynamic psychotherapy (PPI) model applied to a case followed at the clinical center of our institute. The therapeutic process consists of the presence of three phases called reparative emotional experience, mentalization and expansion of the state of consciousness, distinguished from each other by objectives and intervention techniques. Specifically, this case represents a typical adolescent/young adult patient in the borderline structuring phase and with a possible dual diagnosis.
Keywords: integrated psychodynamic psychotherapy; reparative emotional experience; mentalization; expansion of the state of consciousness.
Introduzione
In questo lavoro, descriveremo la nostra metodologia d’intervento in psicoterapia applicata ad un caso reale preso in carico dal centro clinico dell’istituto. In particolare, ci si focalizzerà sul modo di fare diagnosi multidimensionale (Caporale e Battisti, 2024) e sul dispiegarsi del processo multifasico ad assetto variabile di psicoterapia psicodinamica integrata (PPI) in un’ottica di cambiamento strutturale della personalità (Caporale e Battisti, 2023a).
Informazioni generali
N. è un ragazzo di 18 anni che frequenta come ripetente il quarto anno di un istituto turistico. Richiede, tramite i genitori, un aiuto al centro clinico della nostra scuola, conosciuto tramite un altro paziente, suo amico, in passato in cura presso di noi.
Lamenta una problematica riguardo le scommesse sportive, vari giochi d’azzardo con le carte e le shot machine. Come lui stesso ammette, il rischio della perdita/vincita di denaro rappresenta una fonte attrattiva irresistibile che lo sta portando ad accumulare alcuni piccoli debiti con gli amici e a rimanere quasi sempre senza soldi. Negli ultimi due anni, N. ha scoperto anche la rete e trascorre parte delle ore del pomeriggio sera a fare puntate on line, portandolo a chiudersi a casa e limitando le sue relazioni sociali.
Primo colloquio
Già al primo colloquio N. va subito al cuore del problema della possibile dipendenza ed in poche parole esaurisce la comunicazione. Poi si ferma e fissa nel vuoto. Riprende il discorso ma non sa più cosa dire se non ripetere lo stesso concetto. Il linguaggio del corpo comunica che per lui questo possa bastare e che sia venuto il turno dello psicoterapeuta. La sensazione è che per N. il clinico abbia tutte le informazioni per fornirgli dall’alto una soluzione bacchetta magica del problema, quasi a pretendere una risposta risolutiva e immediata già dopo pochi minuti.
Proviamo a farci descrivere meglio emozioni e sensazioni di questo suo vissuto del gioco ma gli interventi non sortiscono effetto. Gli domandiamo anche se avesse una teoria di tutto questo ma anche tale spunto riflessivo cade nel vuoto.
Piano piano ci rendiamo conto che sono proprio quei micro-problemi della vita reale quali il non potersi pagare le uscite con gli amici o il paio di scarpe desiderate, fare dei piccoli lavoretti e non riuscire ad accumulare nulla, che hanno illuminato la consapevolezza di N. e generato la sua richiesta d’aiuto.
Ulteriori colloqui di valutazione
Negli ulteriori colloqui, N. continuerà a parlarci di questo problema non riuscendo ad aggiungere nulla sulla sua vita personale. N. riferisce che durante le sessioni di gioco salgono intensamente le sensazioni di adrenalina e di euforia, stati psicofisici che si alternano rapidamente, legati a doppio filo alle situazioni di perdita e di vincita. Cerchiamo di far comprendere a N. che in questo tipo di gioco realmente né si perde né si vince. Non si perde fino in fondo mai poichè si cerca sempre di puntare di nuovo in qualsiasi modo e condizione, e nemmeno si vince realmente, perché non riesce ad accontentarsi del denaro vinto e fermarsi e con quel denaro convertirlo nel soddisfacimento di qualche bisogno reale.
Cerchiamo di esplorare le sue giornate al di là del gioco e scopriamo come nell’ultimo anno, la sua vita, sia stata costellata di eventi che progressivamente lo hanno impoverito affettivamente e socialmente, relegandolo a giornate vuote. La separazione dalla sua storica ragazza, rapporto durato tre anni, ed un infortunio che l’ha portato a lasciare il calcio praticato quasi tutti i giorni, sono stati eventi precipitanti in cui il gioco d’azzardo ha preso piede come un buco nero. Intorno a quella dipendenza, si è creato un deserto di vita. Gioco e realtà sembrano presentarsi come due rette parallele che non si incontrano mai, configurando una dissociazione strutturale nel mondo interno di N.
Proviamo ad approfondire il passato familiare. Mi dice di avere un fratello più piccolo e che i genitori sono sempre stati critici rispetto alla sua persona e al suo comportamento. Oggi comunque riesce a fare quello che vuole, entra ed esce di casa senza orari ed autogestisce tutta la sua vita, compresa la scuola che la frequenta quando e come vuole lui. Notiamo che la rappresentazione di N. della famiglia ed anche della sua persona è una rappresentazione stereotipata, superficiale, monodimensionale, non ancorata a veri ricordi autobiografici.
Sogno diagnostico
Al terzo colloquio di valutazione, N. porta il seguente sogno fatto prima della seduta:
“Stavo agli ultimi piani di un grattacielo, edifici tipici dell’alta finanza. Ero solo. Avevo la sensazione di tensione, sentivo un’adrenalina che mi saliva e mi stava facendo impazzire. Mi sentivo soffocare ed ho iniziato ad urlare per chiedere aiuto. Divenivo consapevole piano piano che nessuno si poteva accorgere di me e questa cosa faceva sempre più aumentare la mia angoscia. Vedevo fuori le persone, le macchine, la vita e gridavo ma nessuno se ne accorgeva. C’era come una barriera tra me ed il mondo esterno. Ero intrappolato in questa trappola di cristallo”.
Il sogno ci restituisce come N. si senta in trappola nel proprio mondo ormai costituito dal gioco e dai soldi apparentemente facili. Il mondo reale è fuori e N. sembra accorgersene ma costatarne anche la distanza da sè. La dipendenza crea un pozzo senza fondo dove l’individuo è immerso rimanendone imprigionato, e non riuscendo più a creare connessioni con la realtà, quella affettiva e di significato.
Diagnosi secondo la Psicoterapia Psicodinamica Integrata (PPI)
Si conferma un quadro di disturbo da gioco d’azzardo (gambling disorder) secondo i criteri del DSM-5-TR, in comorbilità con nuclei depressivi in progressiva strutturazione.
A livello di diagnosi psicodinamica, la PPI propone un modello integrato di psicodiagnosi multidimensionale della personalità (Caporale e Battisti 2024). L’analisi strutturale valuta l’attivazione, lo sviluppo e l’integrazione dei molteplici sistemi motivazionali alla base del comportamento umano, ridefinendo un’articolata teoria dei bisogni primari di natura strettamente intersoggettiva. L’analisi di funzionamento indaga la maturazione delle capacità di mentalizzazione e dei principali processi psichici, responsabili del modo in cui la personalità si adatta al proprio ambiente affettivo-interpersonale e delle strutture di significato poste al servizio del Se. L’analisi di organizzazione evidenzia le strategie difensive che l’individuo mette in atto per difendersi dai traumi relazionali significativi.
Tale approccio, calato nello specifico caso, permette di inquadrare N. come una strutturazione borderline al limite basso di personalità sia a livello di funzionamento che di organizzazione caratterologica, con caratteristiche personologiche improntate all’impulsività, alla disregolazione emotivo-comportamentale, alla diffusione dell’identità, ed un profilo neuro-cognitivo orientato alla disattenzione e all’iperattività.
L’intervento di Psicoterapia Psicodinamica Integrata (PPI): il processo e le fasi
La PPI è un metodo di intervento terapeutico multifasico ad assetto variabile (Caporale e Battisti 2024; 2023a; 2023b; Caporale et al. 2023).
L’intervento è multifasico poiché prevede lo sviluppo progressivo di tre fasi terapeutiche che ripercorrono le principali tappe evolutive e le relative acquisizioni psichiche come proprietà emergenti, in un’ottica riparativa di “limited reparenting”.
Per assetto variabile s’intende la flessibilità strategica del terapeuta PPI nel decidere quale fase attivare o meno momento per momento, in ogni seduta del processo terapeutico, in rapporto ai differenti funzionamenti mentali ed ai bisogni emotivi del paziente.
Le fasi possono essere distinte in una prima di riorganizzazione emozionale, implicita, in cui la “presenza muta” del terapeuta è l’elemento di cambiamento elettivo, che noi chiamiamo fase dell’esperienza emozionale riparativa; in una seconda detta della mentalizzazione, più cognitiva o di sviluppo del pensiero simbolico, in cui l’implicito viene trasformato in esplicito, e il terapeuta funge da cosiddetta funzione Alfa; infine, in una terza di natura educativo comportamentale volta all’espansione dello stato di coscienza attraverso l’uso della parola incarnata e dell’azione rappresentativa.
Fase 1: esperienza emotiva riparativa
In questa prima fase dell’intervento, il terapeuta dovrà far “fare esperienza emozionale” al paziente di una nuova relazione oggettuale riparativa grazie alla costruzione di una solida alleanza terapeutica. Per relazione oggettuale riparativa s’intende un nuovo campo intersoggettivo ristrutturante e vitalizzante e dunque anche con funzioni regolative (Hill, 2015; Mucci, 2022), che si pone accanto e in alternativa, a relazioni oggettuali traumatiche ossia dissociate e disregolate. Il terapeuta, sintonizzandosi con le parti più traumatiche del paziente, diventa “testimone” della sua sofferenza (Ferenczi, 1932). La testimonianza produce convalida, riconoscimento e dunque piano piano maggiore accettazione/integrazione di sè.
I primi sei mesi del percorso sono stati incentrati sulla costruzione di una valida alleanza terapeutica che avrebbe dovuto, a differenza del vecchio schema di trascuratezza genitoriale, far provare a N. l’esperienza dell’essere visti ed attenzionati in tutti gli aspetti bui della sua vita. Il padre quando vedeva il figlio con gli amici farsi le canne nella macchina non si avvicinava e tirava dritto a casa. Nel tempo, N. ha continuato ad essere “invisibile” non avendo orari di rientro, non dovendo più dimostrare responsabilità scolastica e avendo l’autorizzazione a dormire fino a tarda mattinata. L’arrendevolezza dei genitori in realtà ha sempre nascosto una scarsa motivazione all’accudimento affettivo e responsabilità. Avremmo dovuto dimostrare a N. il contrario e non è stato facile. Ogni abitudine di vita disfunzionale è stata oggetto di discussione nelle molteplici sedute di quel periodo, con l’intento di fargli capire la preoccupazione e lo sgomento nel ritenere molti di quei comportamenti tossici e responsabili del suo malessere. Ampia è stata la disponibilità nel rendersi reperibile anche al di fuori delle sedute nei momenti di grande difficoltà e sconforto. Fermo è stato anche l’approccio di giudizio sul suo stile di vita. Si è sempre cercato di esprimere valutazioni dopo averlo ascoltato ed approfondito il suo punto di vista. Non è stata espressa troppa euforia riguardo i piccoli successi in terapia nè drammatizzato i suoi passi indietro.
Dopo quattro mesi di lavoro sugli aspetti impliciti della relazione, N. porta questo sogno di transfert: “Stavo in una fabbrica di botti che stava esplodendo. Stavo correndo via ma non trovavo l’uscita. Un pompiere mi prende per la giacca da dietro e mi trascina fuori. La fabbrica esplode ed io sono salvo per miracolo. Il pompiere mi dice che cavolo stavo facendo lì e vuole chiamare i miei genitori. Io rispondo che non ho genitori, non vede che sono grande. Lui non sente giustificazioni, mi prende e mi porta dalla polizia”. Evidente che N. sia sempre più consapevole del rischio di morte psichica presente nella sua vita ma anche più fiducioso che qualcuno possa rendersene conto. Il pompiere o il terapeuta sono figure che non solo possono tirare fuori N. dall’emergenza ma se ne sanno prendere cura anche dopo, riconoscendo in lui difficoltà che vanno ascoltate e prese in carico da altri. L’adulto non è lui ma chi ha la capacità di ascoltarlo e interessarsi dei suoi problemi, e nel sogno viene giustamente trattato come un bambino che si è messo in pericolo.
Fase 2: mentalizzazione
La seconda fase ha come focus, sempre in un’ottica di sviluppo dell’apparato psichico e di reparenting, la maturazione delle capacità di mentalizzazione del paziente (Fonagy et al, 2002, Allen e Fonagy, 2006, Allen et. al. 2008). Sostenere la mentalizzazione, o anche detta funzione riflessiva, significa potenziare le capacità simbolico-rappresentazionali, base dell’attività di fantasmatizzazione inconscia e preconscia.
Lavorare terapeuticamente a questo livello vuol dire in altre parole favorire un’elaborazione cognitiva di secondo ordine, simbolica prima come immagine mentale poi come parola, frutto della maturazione di strutture corticali prefrontali (Schore, 1994, 2003a, 2003b, 2019), che possa restituire significato più accurato alle informazioni emotive esperite nel flusso di un campo intersoggettivo primario, trasformando più possibile il protomentale prima in pensiero inconscio poi in pensiero verbale.
In particolare, l’analisi del transfert e l’interpretazione dei sogni (Battisti e Caporale, 2024), elementi cardini del metodo PPI, rappresentano strumenti elettivi nel lavoro di trasformazione da pensiero inconscio a pensiero verbale, da implicito ad esplicito, portando il paziente ad una sempre più piena capacità di mentalizzazione ed introducendolo alla fase successiva del lavoro terapeutico.
Con N. è stato come far nascere per la prima volta un apparato simbolico di pensiero. Le esperienze di vita avrebbero dovuto essere integrate in un Sé autobiografico nascente che fino a quel momento non esisteva. N. era solo impulsività e compulsione, mosso da motivazioni istintuali incistate nella sua psicobiologia del corpo.
Innanzitutto, si è cercato di farlo lavorare sul piano temporale presente generando con lui significato rispetto alle motivazioni che lo spingeva a giocare ed a ciò che invece gli potesse mancare in una vita reale fatta di bisogni reali. Imparando a mentalizzare meglio N. ha potuto costruire un’immagine di sé più definita e ricca di prospettive vitali che potessero sostituirsi al vuoto depressivo che mano mano stava crescendo fino a quel momento.
Il tempo che dedicava alla sua dipendenza era un tempo veloce, velocissimo, ma allo stesso tempo ripetitivo, un tempo interno Kairos sempre uguale a se stesso che non portava cambiamento. Non dava la possibilità a N. di crescere ed espandere il proprio Se nel mondo arricchendosi di significati e dunque in identità. Altresì, tutta quella velocità catalizzata dall’adrenalina del gioco produceva come controaltare un essere di N. nel mondo sospeso (Cronos), uno stare a guardare dalla finestra (o come sognato dalla trappola di cristallo di un grattacielo) la vita reale che nel frattempo scorre.
Questa frattura tra mondo interno e mondo esterno, questa vita dissociata a due velocità doveva trovare un modo per poter dialogare ed integrarsi. Per tale motivo ho portato N. a riflettere sulla necessità di provare a trovare nella quotidianità delle motivazioni reali, educarsi ad appassionarsi a qualcosa, cercare di scoprirsi in un fare che lo potesse rispecchiare. Solo così avrebbe potuto arrestare quel processo di desertificazione emotivo-affettiva e motivazionale in atto strappando al gioco il suo potere di morte.
Poco dopo, abbiamo inoltre provato ad esplorare, attraverso l’analisi del transfert-controtransfert, le prime relazioni significative, e, dunque, il suo sistema di attaccamento che stava portando N. ad organizzarsi in modalità borderline di funzionamento. N. portava il vissuto di una madre ipercritica e controllante ma con poche capacità empatiche aveva generato un vissuto persecutorio senza l’adeguata sicurezza di una base sicura; la percezione di un padre altrettanto distanziante sul piano emotivo ed assente fisicamente aveva fatto tutto il resto, configurando le basi per un trauma relazionale precoce di trascuratezza e conseguente sviluppo di un attaccamento disorganizzato con derive dissociative e disregolative. La sensazione più evidente che si è avuta sempre in terapia era quella di impotenza, perché qualunque cosa che si dicesse, era come se cadesse nel vuoto. N. era “come se” non volesse sentire, e non riuscisse o non volesse dare troppa importanza ai drammi che raccontava. Non narrava le cose, le buttava lì, quasi convincendo che non avessero alla fine così tanta importanza emotiva.
Nel trascorrere dei mesi e delle sedute, i continui rimandi transferali e controtransferali hanno aiutato N. a costruire trame narrative di sè, del proprio mondo familiare e della propria realtà di vita; e soprattutto cosa più importante una nuova capacità di raccontare le cose che gli accadevano con profondità e riflessività, cercando sempre più di collegare le sensazioni ed emozioni ai pensieri ed i pensieri alle azioni. Il tutto sotto la guida ritrovata del suo assetto motivazionale in via di sviluppo. N. stava imparando a vivere in maniera consapevole, associando l’affetto ed il pensiero alle reali motivazioni che lo avrebbero dovuto guidare nella vita presente e futura.
Stava nascendo una persona costituita da un epicentro vitale e motivazionale su cui far ruotare tutto compresi i fallimenti.
Quasi alla fine del nono mese di terapia, N. sogna: “Ero a giocare a paddle con i miei compagni e la mia ragazza. Vediamo nell’altro campo altri nostri amici che giocano anch’essi ma senza racchetta e con la sigaretta in bocca. Ridevano e sghignazzavano. Ero molto angosciato, a un certo punto volevano venirci a menare ma il vetro li ha fermati. A quel punto abbiamo chiamato per aiutarci il gestore del campo e il signore li ha cacciati”. Il sogno ci restituisce come N. stia riuscendo a prendere le distanze da un mondo al limite dell’antisocialità e della dipendenza grazie a nuove motivazioni come quelle di uno sport riscoperto. Oggi nella mente di N. vi è una maggiore distinzione e consapevolezza di ciò che è funzionale e di ciò che è più disfunzionale della propria vita. Inoltre, tutto questo è possibile grazie alla maggiore capacità di N. di riconoscere una figura di riferimento che possa aiutarlo riparando quelle ferite dell’attaccamento che si sono sempre chiamate trascuratezza.
Fase 3: espansione dello stato di coscienza
La psicoterapia in questa terza ed ultima fase diventa una nuova “zona di sviluppo prossimale” (Vygotskij, 1990) in cui il terapeuta PPI aiuta il paziente, attraverso interventi di modeling e scaffolding, a trasformare il pensiero in azione, a mettere a terra le potenzialità, a modificare in maniera attiva la realtà in cui vive in funzione di un maggior fit con i propri veri bisogni psicologici.
La piacevole scoperta della propria agentività ed efficacia personale nel “far accadere le cose” è frutto in questa fase del rapporto osmotico tra terapia e vita: terapeuta e paziente analizzano il problema in chiave psicodinamica ed impostano una strategia in seduta, il paziente mette in pratica nella vita, lo stesso riporta in seduta quello che ha fatto, il terapeuta analizza il comportamento, rinforza o corregge.
Il terapeuta acquisisce in questo momento una funzione di modeling, di supporto, ma anche di “nuovo testimone” accanto al paziente, dalle piccole conquiste nella vita quotidiana alle grandi scelte intraprese, accompagnandolo in un processo di cambiamento in linea con gli insight appresi.
N., dopo qualche mese dall’entrata in questa fase inizia a giocare a paddle con un gruppo di amici con i quali anche da prima si cimentava. Si frequenta con una ragazza che conosce nell’ambito di questa attività e si fidanza. Il gioco d’azzardo continua ad essere presente ma non più come prima. Ricade nelle puntate ma riesce meglio a controllarsi, mettendosi dei limiti e facendoseli mettere dagli altri.
Le sedute diventano un confronto ed una supervisione continua tra quello che è stato appreso emotivamente negli step precedenti della terapia e la messa a terra necessaria in quest’ultima fase. N. porta all’attenzione ogni volta un nuovo comportamento problema e le relative strategie funzionali che ha utilizzato nella settimana per farne fronte in un’ottica di confronto e di rinforzo/estinzione. Si esplorano altre alternative di risposta all’evento problema che N. avrebbe potuto dare. La self-disclosure diventa uno strumento tecnico importante che sostiene il modeling e lo scaffolding del terapeuta.
L’agentività e la self-efficacy crescono in N. e questo lo porta a finire la maturità e a pianificare nuovi obiettivi tra cui quello di diventare cuoco.
Quasi alla fine della terapia, N. sogna: “Mi trovavo in mezzo ad un sentiero di campagna ma non sapevo dove stavo andando. Però mi sentivo felice e saltellavo qua e là. Prendevo dei sentieri che non so dove mi avrebbero portato ma so che li prendevo. In lontananza è come se ci fossero dei paesini ed io stavo andando in quella direzione”. Al di là di quanto questa scelta professionale possa essere o meno la scelta giusta è comunque per N. una scelta. Il sogno ci dice questo. A volte non si sa come le cose si potranno mettere nella vita ma l’importante è la sensazione di camminare verso una direzione, a differenza di quando si è all’interno del buco di una dipendenza in cui si gira su se stessi e si ritorna sempre al punto di partenza.
Conclusioni finali e riflessioni cliniche
Appropriarsi o riappropriarsi di un processo decisionale vuol dire allineare il proprio tempo interno (Kairos) con il tempo esterno (Cronos), creando una sintonizzazione tra il Sè e la realtà. E questo è possibile solamente assumendosi la dimensione del rischio reale, un rischio calcolato e calcolabile che si deve configurare come un delta di incertezza ma sostenibile grazie alla maturazione di sentimenti di fiducia negli altri e speranza nei confronti del mondo. Altresì, il rischio d’azzardo diviene una puntata incosciente sulla propria vita di cui si calcola male il valore a ribasso. Quando siamo disposti a mettere troppo velocemente qualcosa sul mercato, molto spesso non ne capiamo il significato profondo.
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Bibliografia
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